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sabato 9 febbraio 2008
OMS: tabacco killer
venerdì 8 febbraio 2008
Smettere di fumare, io ci provo
giovedì 7 febbraio 2008
Le confessioni di un fonico (I puntata)
Come recita l'oggetto di quest'email,
OK!
Ottimo lavoro raga.
Buonissime indicazioni, son certo di aver capito cosa volete. Tutti.
M'è molto piaciuto il rispetto col quale avete espresso le vostre idee riguardo il pezzo, traspare una bella sincerità e una completa fiducia nel sottoscritto, e questo è per me motivo d'orgoglio.
Effettivamente, come intuisce correttamente Mimmo, la scelta di far sentire la chitarra in quel modo risiede in una scelta stilistica precisa. Credo, altresì, che le idee a riguardo di Marco e Zanca siano molto più efficaci della mia proposta. Dunque, sicomme si può fare, a me non resta che portare mooolto più in avanti la chitarra d'accompagnamento. Effettivamente la risposta risiede nel mezzo, dunque interessanti le vostre indicazioni sulla chitarra solista: deve essere tipo AC/DC come dice Zanca, ma non così staccata dal resto, come avevo realizzato io e come aveva osservato - dissociandosene, giustamente - Mimmo.
Lo so, scrivo un pò contorto, ma siete tipi in gamba e son certo coglierete tutto ciò che provo a trasmettere. Sapete, ci metto tanta passione in quello che faccio, un lavoro che non mi ispira neanche lo tocco. In fondo ve l'avevo detto già di persona. Sapete, sono un tipo che dice le cose in faccia.
Cosa dire, credo, riascoltando, che il dj sia pure lui un pò troppo dietro, almeno in alcuni frangenti. Deve salire al livello di quella che sarà la nuova chitarra d'accompagnamento. E poi qualcos'altro.
Direi davvero buonissimi basso e batteria che, come saprete, sono i più ostici da "realizzare" acusticamente, l'uno per la particolarità e la varietà delle frequenze emesse, l'altra per la complessità tecnico-fonica derivante dalla gestione di 7 (e dico 7) microfoni. Assolutamente non facile, raga, ve lo giuro. Difficile perché non c'è una ricetta assoluta o esportabile se ben riuscita. Ogni pezzo è una storia a sé, una ritmica a sé, un'atmosfera e un messaggio a sé. Dunque tutto lavoro che riparte da ZERO, sì sì, proprio da zero. E ascolti la cassa. E ti piace. E poi il rullante. E c'è da ricostruirlo. Poi si sentono insieme e le cose non vanno come t'aspettavi. E questo per altre 5 tracce (parlo della batteria...) e poi rivedere tutto da capo. Poi sistemare gli altri strumenti. E quando tutto è finito niente ti piace. E ricominci. E ricominci. Secondo coscienza.
Allora raga, andiamo al sodo, come piace a me.
Tutto è sotto controllo. Ora sistemo le cose e il pezzo è bello che pronto.
Appena è finito ve lo mando, non tarderò.
Enrico
PS Kosmik dice bene. Se ben gestito nel suono il dj può tranquillamente entrare ex-abrupto, molto figo. Dice bene il ragazzo. Forte Kosmik.
PPS Ma Raffaele tace e acconsente?
PPPS Un abbraccio, mi piace avere a che fare con voi.
Videogiochi violenti, fabbrica di mostri?
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Contributo di Liliana Gorini, Presidente del Movisol, Movimento internazionale per i Diritti Civili Solidarietà (Milano).
Tratto dalla dispensa di Marcello Pamio: "Videogiochi violenti: fabbrica di piccoli mostri"ORDINA
Che vi sia una correlazione diretta tra le stragi nelle scuole e nelle università, da Colombine al Politecnico in Virginia, e i videogiochi violenti che insegnano ad uccidere a sangue freddo, è stato dimostrato più volte, e non soltanto negli Stati Uniti (si pensi alla strage compiuta l’anno scorso da uno studente nel liceo finlandese di Jokela, a quella nel liceo Gutenberg di Erfurt nel 2002, ma anche all’omicidio di Meredith Kercher a Perugia, in cui la violenza era annunciata su MySpace e Facebook). In alcuni casi, come quello di due diciottenni di Detroit, che hanno ucciso un giovane che neanche conoscevano, bruciandone i resti, per imitare “Manhunt2” (caccia all’uomo), uno dei tanti videogiochi violenti, la correlazione è così diretta che molti hanno pensato di trascinare in tribunale non soltanto gli esecutori materiali degli omicidi, ma anche la Microsoft che è la principale produttrice di tali videogiochi, e possiede Facebook, mentre MySpace è di proprietà del magnate dell’informazione Rupert Murdoch.
C’è da chiedersi: chi promuove i videogiochi “killer” ed a quale scopo? Inizialmente furono sviluppati dal Pentagono come “war games”, giochi di guerra, per insegnare a superare la soglia di inibizione naturale ad uccidere un altro essere umano, soprattutto nell’ambito della privatizzazione degli eserciti promossa dal vicepresidente americano Cheney e dalla sua “Revolution in Military Affairs”. Dopo il 2000, e con l’insorgere della crisi finanziaria dovuta alla bolla speculativa, i videogiochi violenti divennero un gigantesco business per la Microsoft e gli interessi della Silicon Valley. Prendiamo “Counterstrike” o “Halo 3” , che hanno avuto grande successo di mercato: appena uscirono la Microsoft intascò 170 milioni di dollari negli Stati Uniti. Non è possibile pensare che lanciare sul mercato videogiochi che inneggiano alla violenza, all’omicidio, soprattutto di stranieri, non persegua un disegno preciso. Secondo l’economista e leader democratico americano Lyndon LaRouche, “l’intento è quello di privare intere nazioni della capacità di distinguere tra realtà e fantasia, tra bene e male. L’intento è quello di ridurre la popolazione mondiale, scatenando istinti omidici e suicidi, a meno di un miliardo di abitanti, dagli attuali 6,5 miliardi. E intendono farlo rapidamente. Ecco il perché di questa operazione, che diffonde i videogiochi per addestrare i giovani a uccidere e suicidarsi. Col dilagare dei ‘killer games’ sui computer, in Europa come negli Stati Uniti, assisteremo ad un fenomeno come quello dei terroristi suicidi in Medio Oriente”.
Gli interessi finanziari che stanno dietro alla Silicon Valley o alla Microsoft ritengono, riducendo la popolazione mondiale, di potersi salvare dall’esplosione della bolla speculativa a cui stiamo assistendo da alcuni mesi, con la crisi del mutui subprime, e degli hedge funds che li hanno promossi. “Mors tua vita mea”, sembra essere il loro motto, che si rifà alla concezione malthusiana secondo cui sopravvivranno solo i più forti. E tra questi non ci sono certo i giovani. Già in crisi perché sanno di non avere un futuro sicuro usciti dalla scuola o dall’università, bombardati ogni giorno da immagini violente alla TV, vittime della controcultura del “sesso, droga e rock and roll”, creata anch’essa in modo sintetico negli anni Sessanta da Timothy Leary in California e dagli altri guru della droga libera, oggi sono facile preda di siti e videogiochi che inneggiano all’odio razziale, al satanismo, all’omicidio ed al suicidio.
Ecco perché il movimento giovanile che fa capo a LaRouche (LYM) sta diffondendo sia negli Stati Uniti che in Europa, e soprattutto nelle università, milioni di copie di un opuscolo dal titolo significativo “C’è il diavolo nel tuo portatile?” in cui denuncia il malsano progetto che si nasconde dietro giochi apparentemente innocui. Le denunce del LYM sono state riprese da numerose associazioni, tra cui quella degli psicoterapeuti tedeschi (GwG). Il giorno di Santo Stefano, l’avvocato Jack Thompson ha consegnato alla stampa un comunicato dal titolo “Un attivista dichiara guerra alla Dannata Alleanza tra il Pentagono e l’industria dei videogiochi”. Il comunicato punta il dito sulla “collaborazione” tra i produttori di videogiochi e alcuni sinistri soggetti del Pentagono, che è meglio analizzata nell'opuscolo prodotto dal LYM. Nel testo del comunicato si legge, tra l’altro: “Una delle conseguenze di questa collaborazione è il numero crescente di assalti omicidi nello stile tipico di un commando, condotti da giovani avvezzi ai videogiochi, come dimostra il recente massacro avvenuto in un supermercato di Omaha, nel Nebraska. Stando al Washington Post, lo studente Cho, dell’Istituto Tecnico della Virginia, era ossessionato dal videogioco militare CounterStrike. I ricercatori hanno dimostrato l’esistenza di effetti a lungo termine dell’immersione nella violenza interattiva. L’autore del più grave massacro scolastico nella storia europea s’era allenato con lo stesso simulatore di uccisioni in campo militare.” Thompson prosegue dicendo: “Ciò che diventa sempre più evidente è che la maledetta alleanza tra l’industria dei videogiochi e il Pentagono sta insegnando ad un’intera generazione di bambini che la guerra è affascinante, simpatica, desiderabile e senza conseguenze.” “Credeteci o no, è formalmente attiva una collaborazione tra il Pentagono e l’industria dei videogiochi, presso l’Istituto per le Tecnologie Creative che ha sede nel campus dell’Università della California Meridionale.” Thompson ha vinto numerosi processi nei tribunali statali sulla vendita di videogiochi violenti, contro l’Associazione per il Software d’Intrattenimento (Entertainment Software Association) che rappresenta l’industria dei videogiochi. Successivamente, in appello, il tribunale federale ha ribaltato i verdetti.
Teniamo presente il fatto che questa cultura della violenza non inizia nei licei e nelle università, ma fin dall’infanzia. Se un tempo i bambini imparavano dai giochi, ad esempio i famosi mattoncini della Lego, a costruire case, ponti e navi, oggi la stessa ditta produce solo mostri distruttivi e guerrieri spaziali tratti dai cartoni animati e dai videogiochi. La Sony Computer Entertainment è arrivata a produrre video games esplicitamente satanici, ed è stata per questo citata in giudizio a Paducah, nel Kentucky, nel processo contro Michael Carneal, un quattordicenne videodipendente che ha ucciso tre ragazzine. La correlazione è così evidente, che alcuni videogiochi (come Manhunt 2) sono stati vietati in Gran Bretagna e in Italia. Andrebbero banditi per “istigazione a delinquere” e sostituiti nelle scuole da una cultura positiva, quella cultura classica che si vede sempre più raramente sui nostri schermi, forse soltanto quando Benigni legge la “Divina Commedia” di Dante, che dipinge a colori forti la differenza tra male e bene col possente strumento della poesia, che nessuna arma letale potrà mai distruggere.
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Diossina a cena
Conte ha segnalato l'accaduto al presidente della Provincia, così come ai sindaci dei comuni interessati, Taranto e Statte, invitandoli a prendere i dovuti provvedimenti.
Chiede in particolare che venga emanata un'ordinanza urgente che vieti qualsiasi tipo di pascolo, o prelievo di erbe destinate ad uso foraggio, nei terreni che sorgono in aree troppo vicine ad agglomerati che producono inquinamento. E' facile immaginare che su quell'erba, che nasce e cresce all'ombra delle ciminiere dell'Ilva, si posino costantemente minerale di ferro e diossine.
Sostanze nocive che finiscono inevitabilmente negli animali che si cibano di quel foraggio. Il problema è che tanto il latte (sotto forma di formaggio), quanto la carne di quegli animali, potrebbero finire sulle nostre tavole, sicché, già costretti a respirare diossina, finiremmo anche con l'ingerirla.
Sulla vicenda la Questura di Taranto ha aperto un'indagine, per individuare i pastori che si servono dei terreni che sorgono lungo la strada Taranto - Statte, per pascolare i propri animali. L'operazione è al momento ancora in corso.
Intanto sono stati allertati i medici del Dipartimento di prevenzione dell'Azienda sanitaria tarantina, perché, una volta individuato il gregge, dovranno effettuare esami specifici sugli animali che si sono cibati sinora dell'erba "avvelenata", per capire se dal mangiare la loro carne e i derivati del latte possa scaturire un danno per la salute dei consumatori.
mercoledì 6 febbraio 2008
Genova, ancora morti bianche
Fonte: repubblica.it
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Brindisi sud, la più sporca d'Italia
In testa, tra gli impianti ora in funzione, la centrale Enel di Brindisi sud con 15,2 milioni di tonnellate di CO2 emesse nel 2005, seguita da quelle di Fusina e Sulcis (sempre Enel) rispettivamente con 5,6 e 4,1 milioni di tonnellate. Ma evidentemente il principale operatore elettrico vuole consolidare i suoi primati, grazie ai progetti di conversione di Civitavecchia (10,3 milioni di tonnellate di CO2) e Porto Tolle (sempre 10,3 milioni). Impedendo così all'Italia di rispettare gli impegni di riduzione dei gas serra previsti dal Protocollo di Kyoto.Questa classifica – insieme all'azione alla centrale di Porto Tolle, dove attivisti di Greenpeace occupano da tre giorni la ciminiera – viene lanciata alla vigilia della presentazione alla Commissione Europea del Piano nazionale di assegnazione dei permessi di emissione: l'Italia, oltre a essere già stata richiamata dalla Commissione, rischia una procedura d'infrazione per la sua continua inadempienza.
Le emissioni di gas a effetto serra sono fuori controllo
Le emissioni di gas a effetto serra continuano ad aumentare in assenza di una seria politica per rientrare negli impegni di Kyoto. L'obiettivo per il nostro paese, infatti, è quello di tagliare del 6,5 per cento, entro il 2012, le emissioni registrate nel 1990 – 520 milioni di tonnellate di CO2 – e dunque di ridurle a circa 486 milioni di tonnellate. Poiché nel frattempo le emissioni invece di diminuire sono aumentate (583 milioni di tonnellate nel 2004) il taglio necessario è più consistente, dell'ordine di 100 milioni di tonnellate di anidride carbonica. L'Italia, quindi, è già ampiamente inadempiente rispetto agli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra e i progetti in corso non fanno che aggravare la situazione.
Emissioni da carbone: verso il raddoppio
Cosa ci si aspetta per il futuro? Greenpeace ha realizzato una classifica (vedi tabella allegata), oltre che delle emissioni degli impianti esistenti, anche di quelle degli impianti in costruzione, in fase di approvazione o di progetto di cui si ha notizia. I due principali progetti sono quelli di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia (in conversione) e Polesine Camerini (in fase di approvazione) a Porto Tolle. L'aumento potenziale delle emissioni che si avrebbe se tutti i progetti presentati o in discussione si realizzassero – pari a oltre 40 milioni di tonnellate di CO2 (con un utilizzo a pieno regime) - rappresenta un sostanziale raddoppio delle emissioni attuali da carbone, per un totale di 89,3 milioni di tonnellate: una cifra quasi equivalente a quella che l'Italia dovrebbe tagliare per rientrare dentro i parametri di Kyoto.
Gli altri inquinanti
Le emissioni di CO2 non sono l'unico aspetto ambientale rilevante di una centrale a carbone, che emette grandi quantità di inquinanti i cui impatti si ripercuotono a livello locale. Ossidi di azoto, ossidi di zolfo, particolato e poi cloro, arsenico, mercurio, piombo, nichel e cromo: per tutte queste voci (e altre) il confronto tra le emissioni di un impianto come Brindisi sud e quelle di una centrale a gas di ultima generazione è nettamente sfavorevole per il carbone. Certo, le emissioni di inquinanti convenzionali di una nuova centrale a carbone sono inferiori a quelle di un impianto di vecchio tipo come quello di Brindisi. Ma per quanto riguarda l'anidride carbonica, anche un kilowattora prodotto da una nuova centrale a carbone emette il doppio di un impianto a gas naturale a ciclo combinato.
Il programma tradito, mentre gli italiani pagano
Autorizzare la conversione a carbone degli impianti di Civitavecchia e Porto Tolle significa andare contro la logica del Protocollo di Kyoto e contro lo stesso Programma di governo dell'Unione; significa scaricare i costi dell'anidride carbonica sugli italiani e, in definitiva, annullare gli effetti positivi di moltissime altre iniziative e politiche messe in atto per contrastare il riscaldamento globale: quello che oggi viene considerato da tutti gli esperti la principale minaccia per il futuro dell'umanità.
martedì 5 febbraio 2008
Campionato falsato?
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di Enrico Cervellera
lunedì 4 febbraio 2008
Giù le mani dal Leoncavallo
Ricchezza massonica
Fonte: www.disinformazione.it
Nel lontano 1773, secondo notizie frammentarie, sarebbe già stata presente una loggia massonica. Siamo, come la data indica chiaramente, agli esordi della massoneria in Italia, dato che la massoneria moderna è nata a Londra nel 1717. Ma la massoneria bresciana, in particolare, avrebbe respirato, cultura francese. A Brescia abbiamo raccolto una testimonianza di straordinario interesse: quella dello storico Silvano Danesi, studioso della massoneria ma anche dei fenomeni dell'economia del sindacato. Un profilo particolarmente interessante, quello di Danesi, un bel signore classe 1949 dall'aspetto anglosassone, che conosce a menadito i complicati intrecci massoneria e finanza. Con Silvano Danesi abbiamo esplorato i territori della massoneria che si intreccia con la finanza, tra storia e politica, mito e realtà.
La massoneria è considerata tradizionalmente forte nel settore della finanza e dell'industria. Chi storicamente, in Italia, ha rappresentato la massoneria in questi ambiti? Danesi mette dei punti fermi. «Una premessa indispensabile. La massoneria è un fenomeno assai complesso e lo spazio di un'intervista comporta necessariamente schematismi e semplificazioni. Prima di arrivare alla finanza, credo sia essenziale dire che se oggi c'è l'Italia unita lo si deve in gran parte alla massoneria. La storia del Risorgimento è segnata dall'iniziativa di molti massoni, quali, ad esempio, Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso di Cavour. Non fu massone Vittorio Emanuele II, ma simpatizzò per la massoneria, dando il proprio consenso anche all'affiliazione del figlio, che diverrà poi re Umberto I. L’idea dei francesi, per quanto riguardava l'Italia, era quella di uno Stato cuscinetto nei confronti dell'Austria e niente più. Sicuramente non intendevano disturbare lo Stato vaticano. A favorire e proteggere lo sbarco in Sicilia dei Mille c'erano, al largo, le navi della marina inglese; e si sa che il Gran Maestro della massoneria inglese è il re. Affrontare la questione dell'influenza della massoneria sullo Stato unitario è dunque entrare direttamente nel cuore del potere, ossia nel palazzo dei re. I primi passi dell'Italia unita sono guidati da un Parlamento in gran parte costituito da massoni. Francesco Crispi, Agostino Depretis e Giuseppe Zanardelli erano fratelli del 33° grado del Grande Oriente d'Italia. Del resto, l'incipit dell'inno nazionale è: “Fratelli d'Italia...”. Vorrà pur dire qualcosa»
Viene da chiedersi quali canali massonici abbiano seguito in Italia la formazione della ricchezza dai primi del Novecento in poi. E quali grandi famiglie avessero simpatie o aderenze massoniche. Danesi illustra una sorta di «storia della ricchezza» italiana. «Gli studiosi di economia sono concordi nel ritenere che la crisi, che aveva colpito il Paese a partire dal 1882, abbia prodotto effetti positivi per il Nord Italia e in particolare per la Lombardia , determinando il sorgere o il consolidarsi di un'industria dinamica e moderna. Numerosi fattori contribuirono a questo risultato. Nuove vie di comunicazione, come la ferrovia del Gottardo, aperta al traffico il 10 luglio dei 1882, fecero delle città del Nord, e in particolare di Milano, il centro di collegamento fra l'Italia e l'Europa; mentre la crisi agricola, liberando notevoli capitali, che non trovavano più convenienza a investire nella terra, favorì la nascita dell'industria elettrica e agevolò la trasformazione delle altre esistenti, a cui forni, peraltro, un'abbondante manodopera che proveniva dai disoccupati delle campagne. «Qualche anno dopo, mentre le banche di Torino, Roma e Genova subivano gravi collassi, Milano divenne il centro finanziario più importante della nazione, perché vi si costituirono, con l'apporto di capitali tedeschi, la Banca Commerciale e il Credito Italiano»
Anni difficili, turbolenti, quelli di cui parla lo storico bresciano. Che coincisero alla fine dell'Ottocento, con la crisi ci alcune grandi banche. «Il dissesto bancario italiano aveva origini antiche. La Destra aveva istituito nel 1886 il costo forzoso della lira, ovvero l'obbligo per i cittadini di accettare le banconote prive di copertura aurea, cioè non convertibili. Il costo forzoso aveva allontanato dall'Italia i capitali stranieri che tornarono nel 1883, con il ritorno alla convertibilità della lira. Ne derivò una spinta all'espansione industriale ed edilizia, quest'ultima particolarmente accentuata a Roma, che costruiva la sua nuova dimensione di capitale del Regno. Il finanziamento delle imprese, in particolare di quelle edilizie, comportò una forte esposizione delle banche e in particolare un'esplosione delle sofferenze. Nel 1893-1894 si ebbero quindi i crolli del Credito Mobiliare e della Banca Generale, che furono messe in liquidazione. La Banca Romana , insolvente, nel tentativo di evitare il crollo ricorse, con la copertura di molti uomini politici, alla frode, stampando più banconote con lo stesso numero di serie. Inoltre, ad aggravare la situazione dell'istituto di credito, vennero a galla gli intrecci tra affari e politica; e lo scandalo della Banca Romana travolse il mondo politico e giunse fino a lambire il colle del Quirinale, residenza del re. Si pose quindi la questione della rifondazione del sistema bancario italiano, con la costituzione della Banca d'Italia, nel 1893. E con l'introduzione della banca mista di tipo tedesco, banca universale, capace di partecipare al capitale delle imprese e di convogliare il risparmio nei grandi progetti del decollo industriale.«All'impresa collaborarono capitali tedeschi e svizzeri, richiamati in Italia dal mutamento delle alleanze in politica estera e dall'azione mediatrice della massoneria, che attraverso i garanti d'amicizia e l'opera del massone ebreo tedesco Otto Joel, convinse i «fratelli d'oltralpe a stabilirsi in Italia con solidi punti d'appoggio finanziari, ai quali seguirono negli anni anche quelli industriali. «Questo decollo fu in gran parte, appunto, il frutto dell'insediamento a Milano, nel Palazzo Brambilla, della Banca Commerciale Italiana, fondata nel capoluogo lombardo il 10 ottobre 1894 da un consorzio comprendente capitali finanziari tedeschi e svizzeri. A presiedere la neonata banca d'affari fu chiamato il conte Alfonso Severíno Vimercati, uomo dell'entourage crispino e già dirigente della Banca Popolare di Milano.»
Si creò un nucleo di uomini destinati a entrare nella storia dell'economia e della finanza. « La Banca Commerciale , alla quale si affiancherà nel 1895 il Credito Italiano (banca sorella e concorrente), fu condotta da Otto Joel e da Federico Weil. Nel 1891 Joel chiamò in Italia Giuseppe Toeplitz, un uomo che avrà grande parte nello sviluppo del Nord industriale italiano negli anni a venire. A Toeplitz succederà negli anni Trenta del Novecento Raffaele Mattioli, banchiere mecenate e fine intellettuale, protagonista della creazione di Mediobanca, poi diretta dal «fratello" Enrico Cuccia. Motore dello sviluppo, le due banche favorirono il decollo della Terni, dell'Ilva, dell'Edison, delle Acciaierie Falck, della Breda, della Fiat» spiega Danesi.
Ma quale fu il ruolo di figure come Toeplitz e Mattioli rispetto alla massoneria? «Il massone Otto Joel, come s'è visto, con Federico Weil, altro tedesco di origine ebraica, è tra i protagonisti dello sviluppo industriale italiano voluto da Giovanni Giolitti. Sua creatura è la Banca Commerciale Italiana. Nel 1891 Joel chiamò in Italia Giuseppe Toeplitz, borghese di origine ebraica, nato a Varsavia. Mattioli, stando alla biografia ufficiale, non era massone, mentre lo era Beneduce. Riguardo a Mattioli, è aperta la questione, assai interessante, della sua sepoltura nell'abbazia di Chiaravalle, in una tomba che fu dell'eretica Guglielma la Boema. Secondo alcuni sarebbe stato Giuseppe Toeplitz ad avvicinarlo alle complesse idee di Shabbetai Zevi e di Jakob Frank. In questo caso, più che alla massoneria, bisognerebbe pensare all'influenza di un certo mondo ebraico. Guglielma - o meglio Vilemina o Blazena Vilemina - eretica mistica, era figlia, secondo la sua testimonianza, del re di Boemia Premislao I e di Costanza di Ungheria. Giunse a Milano con un figlio intorno al 1260 e divenne oblata del monastero di Chiaravalle: con la sua parola e il suo esempio creò attorno a sé un gruppo di seguaci tra i quali alcuni appartenenti a famiglie nobili come i Torrioni e i Visconti. La sua storia fa pensare che fosse una seguace del movimento del Libero Spirito, diffuso in Germania, nella Francia settentrionale e nei Paesi Bassi. Un movimento che sosteneva che Dio poteva essere ricercato in se stessi, negando, di conseguenza, il ruolo di mediazione delle gerarchie ecclesiastiche.' Guglielma arrivò a sostenere l'idea di un'incarnazione femminile di Dio. Alla sua morte nacque la setta dei guglielmití, che ritenevano che Guglielma fosse l'incarnazione dello Spirito Santo e che sarebbe risorta all'inizio del nuovo secolo. Guglielma sosteneva di essere venuta a portare la salvezza a chi era fuori dalla Chiesa, e in particolare agli ebrei. Jakob Frank (1726-1791) è invece il fondatore di una setta ebraica che prese il nome di frankisti e che si riconduce al movimento messianico e cabalista degli shabbetai di Sbabbetai Zevi. Jakob Frank sosteneva, come scrive Gershom Scholem, uno dei massimi studiosi della mistica ebraica, "che il vero buon Dio è occulto e privo di legami con la creazione" e si nasconde dietro il "Grande Fratello», la cui posizione è connessa con la Shekkinah. Secondo Frank, «tutte le religioni erano soltanto fasi attraverso le quali dovevano passare i credenti, come un uomo che indossa abiti diversi, per poi abbandonarle perché prive di significato nei confronti della vera fede segreta". La massoneria, il liberalismo e persino il giacobinismo potevano essere visti come mezzo per realizzare tali fini ed è per questo che in particolare a Varsavia, molti adepti furono attivi nelle organizzazioni massoniche....
Tratto dal libro: "FRATELLI D'ITALIA" di Ferruccio PinottiORDINA IL LIBRO
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LA RESISTENZA, il salento della gente
Molfetta, primo alle primarie
Olindo e Rosa, ultime novità
domenica 3 febbraio 2008
Cermis, quando la giustizia ha i guanti bianchi
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A 10 anni dalla strage del Cermis, LA RESISTENZA è solidale con i parenti delle vittime.
Fonte: ANSA
di Cristiano Del Riccio
WASHINGTON - E' una ferita ancora aperta, dieci anni dopo, la tragedia del Cermis. Esattamente un decennio fa, il 3 febbraio 1998, un aereo militare Usa tranciò i cavi della funivia di Cavalese, nel Trentino, volando a bassissima quota e provocando la morte di 20 persone. Ancora oggi il Comitato 3 Febbraio, formato da cittadini della zona, chiede che sia fatta giustizia e che il processo ai piloti del 'Prowler' Usa responsabile della strage, svoltosi negli Stati Uniti, sia celebrato in Italia. Il pilota dell'aereo, il capitano Richard Ashby, venne condannato da una corte marziale americana a sei mesi di carcere (per avere distrutto un video del volo) e all'espulsione dai marines, senza pensione. Il co-pilota Joseph Schweitzer, che ammise di avere bruciato il nastro che li avrebbe incriminati, se la cavò con la radiazione, evitando il carcere. Gli altri due marine a bordo del Prowler, William Rainey e Chandler Seagraves, vennero giudicati non colpevoli perché non erano ai comandi. Ma la ferita è tuttora aperta negli Usa dove i due piloti Ashby e Schweitzer sono ancora impegnati in battaglie legali con le autorità militari per ottenere, in appello, accesso ai privilegi amministrativi perduti con la radiazione dai marine decisa a suo tempo dalla corte marziale di Camp Lejeune. La conclusione della vicenda sembra avere lasciato tutti insoddisfatti. Gli attivisti del comitato '3 Febbraio' hanno sempre criticato la sentenza della giustizia militare Usa giudicata troppo generosa nei confronti dei piloti responsabili della morte di 20 persone. "Il processo doveva svolgersi in Italia non negli Stati Uniti - ha ribadito in una recente intervista Werner Pichler, presidente del comitato - il pilota dell'aereo è stato condannato ad una pena minima, non per avere abbattuto la funivia ma per avere distrutto la cassetta con la registrazione del volo". "Noi chiediamo che il caso sia riaperto perché la strage non è stata colpa solo del pilota ma anche di chi sapeva che si effettuavano voli a bassa quota, sia americani che italiani, e non ha fatto nulla per impedirli", ha affermato Pichler. Nel marzo del 1999 il Senato Usa approvò un risarcimento di due milioni di dollari per ogni famiglia delle 20 vittime del Cermis. La mitezza della sentenza provocò comunque la rabbia dei familiari delle vittime: il pilota Ashby trascorse solo quattro mesi in carcere (per buona condotta) mentre il co-pilota Schweitzer non passò neppure un giorno in carcere.
Mastella & figli
Ciad: capo ribelle, ok cessate fuoco
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Fonte: ANSA
TRIPOLI, 2 FEB - Il piu' importante capo della ribellione in Ciad, il generale Nouri, ha accettato un cessate-il-fuoco proposto dal leader libico Gheddafi. Lo ha riferito stanotte l'agenzia di stampa libica Jana. Secondo l'agenzia, durante un colloquio telefonico con il generale Nouri, capo dell'Unione delle forze per la democrazia e lo sviluppo, lo stesso 'e' stato convinto ad un cessate-il-fuoco e a negoziati per applicare l'accordo di pace di Sirte' firmato a Tripoli tra i ribelli e il governo del Ciad.
Speriamo bene... l'ennesimo paese africano dove la gente è immersa nell'ignoranza e nella povertà, dove la ricchezza petrolifera va a finire nelle mani di pochi, dove si combatte ancora per democrazia e per fame....