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sabato 29 marzo 2008

Furia islamica per il film anti Corano

Da Panorama.it

I talebani promettono di attaccare le truppe olandesi in Afghanistan, Al Qaeda emette una condanna a morte per decapitazione, l’Iran e altri paesi islamici minacciano il boicottaggio economico e milioni di musulmani sono pronti a far esplodere la loro rabbia.
Come per le vignette su Maometto, un film anti Islam, voluto dal controverso politico olandese Geert Wilders, rischia di provocare un’ondata di violenze.Il cortometraggio, di 15 minuti, si intitola Fitna, parola araba vicina alla nostra sedizione.
Il video paragona il Corano al Mein Kampf di Adolf Hitler. Nessuno l’ha ancora visto, ma lo stesso Wilders anticipa che i versetti del libro sacro per i musulmani vengono “interpretati”. Sullo sfondo sono state montate immagini di attacchi terroristici e altre violenze ispirate dall’Islam estremista. Maometto verrebbe assimilato a un “barbaro”.

Parlamentare olandese dal 1998, Wilders si arrabbia se viene bollato come fascista. Populista, cattolico, ammiratore di Israele e leader del Partito per la libertà, è stato nominato politico dell’anno dagli olandesi nel 2007. Scortato da sei guardie del corpo, ha vissuto per mesi in caserme o galere per motivi di sicurezza. Fitna verrà presentato via internet entro il 1° aprile, anche se il governo olandese ha fatto di tutto per convincere Wilders a lasciar perdere. L’anteprima è prevista il 28 marzo presso il centro stampa del parlamento dell’Aia. E il leghista Mario Borghezio ha proposto a Wilders di presentare il film all’Europarlamento.

Da che parte stare?
Ban Ki-moon e l'Onu hanno duramente condannato il cortometraggio, che inciterebbe all'odio e alla violenza. Ed effettivamente Gert Wilders sembra voler denunciare la natura violenta del Corano. Il suo pensiero è che il mondo musulmano è intollerante e violento, e rappresenta una minaccia per la civiltà occidentale.
Ma non è anche giusto lasciare libertà di pensiero e di espressione, proprio di fronte a quei (molti) governi islamici che fanno dell'oppressione, della sottomissione delle donne e dell'ignoranza della propria gente un punto di forza?

venerdì 28 marzo 2008

Il giorno di Venere


Certamente questo è un blog serio, lo so: un blog che si occupa di questioni politiche e sociali di un certo livello, col modesto intento di creare una sensibilità "resistente" rispetto ai temi caldi dell'attualità. Quindi non mi sognerei mai di scrivere su queste pagine nè di moda nè di gossip nè di sindrome premestruale.

Ma quando Enrico mi ha gentilmente offerto di collaborare, ha usato questa precisa espressione: "hai carta bianca". Beh... la mia carta oggi si tinge dei colori della poesia d'amore. Oggi non mi sento attivista dei diritti civili o interessata alla politica, stasera non sono socialmente impegnata a favore di nessuna degna causa. Anzi, al contrario... Ho evitato di guardare i miei soliti tre telegiornali serali, perchè sapevo che non avrei retto alla notizia di quella donna soffocata nel bagagliaio della macchina o di Berlusconi e Veltroni che litigano su chi deve andare in tv da chi.

E quando sto così, quando mi prende la nausea per lo schifo che c'è intorno, quando non sopporto che la gente viva questo schifo con la sterile impotenza della rassegnazione, io mi rintano nella poesia. Prendo dalla libreria uno dei tanti volumi e mi lascio cucire addosso i versi che leggo.

Oggi è venerdì, è il giorno di Venere, la dea della bellezza... e dell'Amore, l'amore con la maiuscola, quello che quando ti manca ti chiedi se esista davvero e se mai arriverà. Allora facciamo così: niente tortura nelle carceri cinesi oggi, niente morti bianche nè licenziamenti francesi a cittadini italiani, niente politici che si scannano per una poltrona che occuperanno solo per il tempo necessario a maturare una pensione senza trattenute. Facciamo che questo sia davvero il giorno di Venere.

Dostoevskij, ne "L'idiota", ha scritto: "La bellezza salverà il mondo". Per me la poesia è bellezza, ed è bellezza l'amore. E quando l'amore si fa poesia, il mondo, con le sue tragiche contraddizioni, e la vita, con le sue rincorse e le sue imboscate, mi fanno meno male.


MARINA - PAUL ELUARD

Ti guardo e il sole si innalza
Presto ricoprirà la nostra giornata
Svegliati con in mente cuore e colori
Per dissipare le pene della notte

Io ti guardo tutto è nudo
Fuori le barche hanno poca acqua
Bisogna dire tutto in poche parole
Il mare è freddo senza amore

E' l'inizio del mondo
Le onde culleranno il cielo
Tu ti culli tra le lenzuola
Tiri il sonno a te
Svegliati che io segua le tue tracce
Ho un corpo per aspettarti e per seguirti
Dalle porte dell'alba alle porte dell'ombra
Un corpo per passare la mia vita ad amarti

Un cuore per sognare fuori del tuo sonno


P. S. : Alla mia isola che non c'è, ma esiste.

Marina

Riddim a Sud, LA RESISTENZA c'è



E' con grande emozione che annuncio che LA RESISTENZA è stata scelta da Teresa De Sio per essere inserita nel cd RIDDIM A SUD. Questo quanto riportato dalla stessa cantante sul suo sito ufficiale, http://www.teresadesio.com/:


"Grazie a tutti voi che avete risposto al mio invito a partecipare a questa avventura che è Riddim A Sud. Grazie per il vostro tempo, la vostra creatività, le vostre anime e le vostre voci.
Tutta la musica che ci avete mandato è buona musica, anche quando è imperfetta, perché è sempre il frutto di una passione forte. Molti hanno prodotto cose belle e interessanti e per noi è stato molto difficile scegliere i nominativi che entreranno nel disco Riddim A Sud. Io avrei voluto abbracciare ognuno di voi e farvi entrare tutti nel progetto.
Grazie per aver ritenuto la mia musica qualcosa di stimolante per voi e di averla comunque condivisa. Grazie per esserci stati in tanti e per averci detto, così, che ancora tanta gente cerca la qualità e la sostanza, e non è appiattita sulle mode e i linguaggi che girano nell'aria.
Ognuno di voi mi ha fatto sentire onorata e fiera!
BUONA MUSICA SEMPRE."

Teresa De Sio


Enrico Cervellera (LA RESISTENZA) - La storia del perdente
Paolo Lizzadro - Il complice dell'anima
Ermanno Mangia (Maneka) - Succede a sud
Nicola Pellegrino - A sud non c'è elettricità



giovedì 27 marzo 2008

"...quanti innocenti all'orrenda agonia ..."


Temo si tratti di deformazione "quasi" professionale: quando leggo una notizia come quella sotto riportata, o ascolto al telegiornale gente che inneggia alla pena di morte, vado alla mia scrivania e prendo il mio manuale di diritto costituzionale. Poi ringrazio Dio di essere nata in Italia (non che ci siano particolari motivi per esserne orgogliosa di questi tempi...), e ringrazio i nostri padri costituenti per avere previsto tre principi di diritto penitenziario a cui il legislatore ordinario deve necessariamente attenersi nell'emanazione delle disposizioni che riguardano la specie e l'entità della sanzione, pena la disapplicazione delle norme per incostituzionalità.
Il primo è il principio di proporzionalità della pena irrogata al fatto storico/reato per il quale è prevista: certamente la pena deve avere caratteri di retribuzione, poichè viola l'ordine giuridico costituito, ma la risposta dell'ordinamento alla violazione deve comunque essere, da un lato, idonea al tipo di bene leso e alle caratteristiche dell'offesa perpetrata, e dall'altro, adeguata al tipo e al grado della colpevolezza.
Il secondo principio esprime invece l'esigenza dell'umanizzazione della pena, stabilendo che essa non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità: il che significa che l'applicazione della sanzione penale non deve mai ledere la dignità del condannato, nemmeno quando comporti una necessaria limitazione della libertà personale del soggetto.
Infine, colonna portante del nostro sistema penale e baluardo di quel positivismo giuridico che tanto ha permeato di sè la nostra Costituzione, la pena deve avere una finalità rieducativa, intendendosi per rieducazione non l'emenda morale del reo (che attiene al foro interno, del quale, per fortuna, lo Stato si disinteressa), ma il suo recupero alla vita sociale, con eventuale inserimento nel mondo lavorativo e necessaria riqualificazione dei rapporti interpersonali.
La pena di morte contraddice ognuno di questi principi: non rieduca (perchè è irreparabile), non è umana (perchè lede il bene vita, la cui tutela nella nostra carta fondamentale non conosce restrizioni), non ingenera deterrenza (contrariamente a quanto i sostenitori della sua applicazione vogliono far credere all'opinione pubblica), non è proporzionale ad alcun delitto (salvo, forse, l'omicidio - ma in questo caso comunque viene meno il fine rieducativo). E tutto ciò non solo quando a essere colpito da sentenza irrevocabile di morte sia un innocente, ma anche quando la reità sia stata accertata al di là di ogni ragionevole dubbio: non esitono vite di serie A e vite di serie B, vite che meritano di essere al mondo e altre che meritano di essere soppresse.
Di questi principi non c'è traccia nella costituzione USA: come può dirsi civile uno Stato che legalizza l'omicidio? E con quale arroganza può esportare i valori democratici di cui egli stesso è privo? Cosa legittima uno Stato a disporre della vita dei suoi cittadini? Quando un ordinamento si arroga il diritto di vita e di morte su un individuo soggetto alla sua sovranità, siamo fuori dall'ottica dello Stato di diritto: non siamo più cittadini, ma sudditi. Poi ci sta poco da sbandierare le origini illuministiche della costituzione americana, perchè il lume della ragione, in uno Stato che pratica "l'occhio per occhio", mi sa che si è parecchio affievolito in questi tre secoli...


"...giudici eletti, uomini di legge / noi che danziam nei vostri sogni ancora / siamo l'umano desolato gregge / di chi morì con il nodo alla gola / Quanti innocenti all'orrenda agonia / votaste decidendone la sorte / e quanto giusta pensate che sia / una sentenza che decreta morte..." (F. De Andrè - "Recitativo e corale")

Marina


P.S. : nutrendo un profondo e laico rispetto per questo blog e quanti lo frequentano, mi sono attenuta a considerazioni di indole esclusivamente giuridica. Va da sè che per me, cattolica praticante, la questione non si esaurisce al piano strettamente legale, ma comporta implicazioni di tipo religioso, vincolanti quanto (e forse più della) legge. La prima delle quali (implicazioni, intendo) riguarda l'assoluta indisponibilità della vita, la propria e quella altrui, sulla scorta della considerazione che la vita la dà Dio, e lui solo può toglierla.
Quindi per me l'omicidio, che sia reato o sia pena, è inammissibile senza alcun tipo di eccezione. Però la fede è una scelta, la legge no: e una legge che presuma di avocare a sè il potere di decidere su ciò che è inalienabile, contraddice i più elementari principi del diritto naturale. Quel diritto di cui persino gli americani devono avere sentito parlare, qualche volta...

Marina

***

Fonte: http://www.corriere.it/

Una vittoria per chi si batte da anni contro la pena di morte. Un tribunale d'appello federale ha annullato la condanna a morte contro Mumia Abu-Jamal. Il detenuto, ex membro delle Pantere Nere, è stato per anni un simbolo delle campagne internazionali contro la pena di morte. Abu-Jamal era stato condannato a morte per l'uccisione di un poliziotto nel 1982.

La decisione della Corte d'Appello di Filadelfia ha l'effetto di costringere l'accusa a presentare di nuovo il suo caso davanti ad una giuria per ottenere una condanna a morte. In caso contrario la condanna a morte contro Abu-Jamal è automaticamente commutata nel carcere a vita.

La vicenda di Mumia Abu-Jamal (vero nome Wesley Cook) è degna di un film. Giornalista e scrittore nel 1969 fu incaricato dell'informazione nella sezione di Filadelfia delle Pantere Nere e per questo era nel mirino dell'Fbi. Divenuto giornalista radio, premiato con numerosi riconoscimenti, Mumia era noto per la sua critica della corruzione della polizia e dei dirigenti politici locali. Nel 1978 denunciò la violenta repressione che colpì la comunità MOVE e, nel 1981, seguì il processo contro il suo fondatore, John Africa, che fu infine prosciolto. Il sostegno a MOVE gli valse però l'ostilità dell'establishment locale e il conseguente licenziamento da una delle stazioni radio dove lavorava. Per mantenere la sua famiglia, Mumia fu costretto a lavorare come tassista di notte.

Il 9 dicembre 1981, Mumia Abu-Jamal fu gravemente ferito nel corso di una sparatoria nel quartiere sud della città, dove aveva appena portato un cliente. Arrestato, fu accusato dell'omicidio di un poliziotto, Daniel Faulkner, assassinato nello stesso conflitto a fuoco. Nel luglio 1982 venne condannato alla pena di morte nonostante l'evidente mancanza di prove e le diverse contraddizioni e violazioni dei suoi diritti. Nel giugno 1999 un vecchio sicario della mafia, Arnold Beverly, confessò a uno degli avvocati di Mumia di aver ucciso Faulkner. La confessione di Beverly non venne tenuta in considerazione.

Da quel momento però intorno al processo e alla condanna di Mumia si è creata una mobilitazione internazionale e Mumia è diventato un simbolo della lotta contro la pena di morte. Tanto che nel 2007 l'attore Colin Firth, questa volta in veste di produttore, ha presentato al Festival internazionale del Cinema di Roma, un film-denuncia dal titolo «In prigione la mia intera vita» che riassume l'esistenza di Mumia Abu-Jamal.

La musica siamo noi


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Talora si crede che l'unica musica possibile sia quella di chi vende milioni di dischi, quella di chi firma gli autografi fuori dai palazzetti dello sport, quella di chi canta per radio la rabbia sua e sua soltanto. Non è così, la musica è arte, passione, dedizione, sacrificio. La musica siamo noi che sogniamo uno strumento per cavarci qualche melodia interessante, la musica siamo noi che aggiorniamo lo space in cerca di amici. La musica sei tu che leggi questo post e capisci di non esser solo, la musica sono io che credo in un accordo semidiminuito. La musica siamo noi, ragazzi, e la musica esiste a prescindere dal pubblico che eventualmente la ascolterà. La musica è un'entità immanente alle nostre spalle. Noi, con le nostre dita, le nostre note e la nostra bocca, siamo solo una delle tante porte possibili. Da lì passa Lei, passa la musica. Dove vada, dove arriverà, non lo sappiamo.
Enrico Cervellera
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mercoledì 26 marzo 2008

Il primo giorno dopo le elezioni (profezia num. 1)


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Il primo giorno dopo le elezioni fu come niente fosse accaduto, come se niente si fosse detto. Tutti i finti moralismi della campagna elettorale, il distinguersi dagli altri per originalità, moderazione e concretezza, svanirono nel nulla. Il gioco del "io rispetto te, tu fai altrettanto" scomparve come gli ATR in Venezuela. S'erano dati la mano di fronte alle telecamere, avevano inscenato "botta e risposta" a mezzo stampa, avevano promesso di cambiarsi il viso e l'anima per essere freschi e nuovi per noi, per cominciare una nuova avventura tutti insieme. Poi ci chiusero in un'urna, quel giorno caldo di primavera che era meglio andare al mare e già un'istante dopo aver lasciato cadere la scheda avevamo capito che eravamo stati fregati un'altra volta. Chiunque andrà a questo cavolo di governo sarà deleggimato da una minoranza che si sentirà tale solo perché vittima di brogli elettorali. Chi sarà all'opposizione parlerà di elezioni irregolari, di gioco sporco, di consultazione da rifare. Chi vincerà farà finta di niente, non risponderà per non rinfocolare le polemiche di sempre, opterà per il silenzio con la scusa dello "stiamo lavorando per voi", poi, quando sarà troppo tardi, proverà a rispondere all'altra parte, dirà cosa ha fatto nel silenzio. Il potere serpeggerà per le solite stanze, quelle alle quali noi gente comune non avremo mai accesso. Noi staremo qui, nel nostro cantuccio, a rileggere con un sorrisetto queste parole, credendo di avere la forza, la prossima volta, di non farci fregare.
Enrico Cervellera
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martedì 25 marzo 2008

Il signore senza anelli


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Ecco come sta finendo quest'epoca: con il padre di famiglia che porta al banco dei pegni gli anelli di fidanzamento, le fedi nuziali della mamma e gli orecchini della nonna. Pur di racimolare qualcosa, ora si è disposti a tutto. Si vendono i gioielli di famiglia per pagare le rate del mutuo, le bollette di casa e la borsa della spesa. Un comportamento che testimonia il capolinea di un viaggio iniziato circa 3/4 anni fa: un viaggio intrapreso quando i tassi di interesse toccavano il loro minimo storico, un viaggio che aveva illuso molti facilitoni che consumare ed acquistare a debito era possibile e conveniente, addirittura facile.
Non mi dilungo più di tanto, i miei due bestsellers, Duri e Puri assieme a Best Before, hanno con largo anticipo profetizzato quanto si sta verificando in questo periodo storico (trovate anche i redazionali precedenti su http://www.eugeniobenetazzo.com/recensioni.html).I recenti crash di prestigiose banche d'affari stanno dimostrando quanto sia marcio il sistema. Northern Rock, Nomura, UBS, CitiBank, Fannie Mac, Societé Generale, Bear Stearns, Lehman Brothers. E chi sarà il prossimo ? Ma credete veramente che il nostro paese ne sia indenne ? Falliranno anche banche italiane, basta solo aspettare: alla faccia di tutti quegli analisti comprati, che se ne uscivano e se ne escono tutt'ora con affermazioni del tipo: non vi preoccupate perchè l'Europa è immune da tutto questo. Già, come se fosse possibile non essere contagiati dal più grande bubbone finanziario di tutti i tempi. Debiti sfrenati, perizie gonfiate, mutui farlocchi, derivati dinamite e per finire bilanci cabriolet.
Molti risparmiatori e correntisti avranno presto un'amara sorpresa: cucù il denaro non c'è più! Il rischio di polverizzazione dei conti correnti è alle porte, avrei anche il nome di tre istituti di credito italiani in pole position per affiancarsi alla lista delle morti bancarie negli USA. Mi piacerebbe farne il nome, ma è troppo rischioso. Il consiglio che vi posso dare è quello di estinguere al più presto il proprio appoggio bancario aperto presso il tal gruppo bancario di turno e migrare verso qualche piccola cassa rurale o banca di credito cooperativo. Non fidatevi delle grandi dimensioni: le recenti cronache finanziarie dimostrano che sono proprio le grandi realtà ad essere in grave crisi, a causa del ricorso al profitto indiscriminato ed al dividendo civetta.
Cercatevi una piccola realtà bancaria con poche filiali e senza manie di grandezza. Pregate in ogni caso che questo basti. L'effetto domino potrebbe travolgere chiunque ed arrivare ovunque in ogni caso. Chi sta per acquistare un suv, ci rinunci e consideri l'idea di comprarsi un kilo di oro fisico. Sarà una delle poche certezze che vi rimangono. Sempre per restare in tema di certezze farlocche presto scoppierà anche la seconda crisi per il sistema bancario, quella dei crediti iscritti in bilancio come poste esigibili, quando nella realtà ormai sono imprenditorialmente inesigibili. Ricordate che rispetto all'Inghilterra ed agli Stati Uniti, la situazione di noi europei è tutt'altro che rassicurante: infatti ogni paese dell'Unione è privo di una banca nazionale che possa intervenire e trasformarsi in prestatore di ultima istanza.
Dubito che in caso si verifichi una Northern Rock in Italia, la Banca Centrale Europea possa prestare denaro a fondo perduto proprio come fece la Banca Centrale d'Inghilterra con la Northern Rock. Le redini del sistema finanziario globale sono sfuggite di mano: immaginabile conseguenza collaterale della globalizzazione. Il diabolico volano sperequativo che ha spudoratamente arricchito pochi soggetti (solitamente gruppi multinazionali) a scapito della classe medio borghese, adesso sta presentando il conto: la perdita dei posti di lavoro a tempo indeterminato ha generato una nuova classe sociale che può continuare a vivere solo ricorrendo al debito. Debiti per tutto: per la casa, per l'auto, per i vestiti, per le vacanze e per la busta della spesa.
Soluzioni non ne esistono. Purtroppo. Dimostrazione palese sono proprio i continui interventi delle Banche Centrali, seguiti dai relativi commenti ridicoli a non preoccuparsi. Nemmeno i burattinai (ammesso che siano tali) sanno come intervenire per curare il malato moribondo. Nel frattempo molti di voi perderanno la casa, il lavoro, la dignità e la speranza di vita per se ed i propri figli, oltre ai quei quattro soldi che si trovavano giacenti e dormienti sui conti correnti.Temo che questa volta non si accetteranno e subiranno passivamente le spiacevoli conseguenze delle prossime ed imminenti tempeste finanziarie (come ad esempio il fallimento della propria banca o la perdita dei propri risparmi). La rabbia sarà tale che sprigionerà in sentimenti ed impulsi di linciaggio e vendetta, stile quelli visti in Argentina otto anni fa. Qualcuno potrà sorridere a queste mie affermazioni o chiavi di lettura, proprio come sorrise e mi derise quando diciotto mesi fa parlai di un nuovo 1929 alle porte. Mai come prima, in quest’epoca, ognuno di voi sarà veramente artefice del proprio destino.

Eugenio Benetazzo


L'aquilone di Forster



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Fonte: Adnkronos


Acclamato dalla critica e ispirato all'omonimo fenomeno letterario, arriva nei cinema italiani, il 28 marzo distribuito da Filmauro in 350 copie, l'atteso ''Il cacciatore di aquiloni''. Diretto da Marc Forster (regista di ''Monster's Ball'', ''Neverland'' e del prossimo episodio di ''James Bond'') e sceneggiato da David Benioff, il film e' la fedele trasposizione cinematografica del bestseller firmato dallo scrittore Khaled Hosseini, edito da Piemme, tradotto in 49 lingue e venduto in oltre 8 milioni di copie in tutto il mondo, di cui oltre 2 milioni in Italia.

Per i temi universali trattati (la famiglia, l'amicizia, il coraggio del perdono e il potere salvifico dell'amore), il romanzo ha toccato profondamente i lettori delle piu' disparate origini culturali e sociali. Sullo sfondo degli eventi che, in trent'anni, hanno portato alla progressiva distruzione dell'Afghanistan e all'annientamento della sua cultura, la commovente e sincera amicizia tra due bambini afgani appartenenti a etnie e classi sociali differenti: Amir, figlio di uno degli uomini pashtun piu' influenti di Kabul, e Hassan, il suo piccolo servitore hazara.

La storia prende il via in Afghanistan negli anni '70. Amir e Hassan sono inseparabili, accomunati anche dalla passione per le gare di aquiloni. Ma un tragico evento irrompe e sconvolge le loro vite: Amir si macchia di un terribile torto nei confronti del suo giovane compagno di giochi. Quando le truppe sovietiche invadono il suo Paese, il bambino fugge negli Stati Uniti con il padre Baba (Homayoun Ershadi), ma il senso di colpa per non lo abbandonera' piu'. Quando un giorno riceve nella sua casa di San Francisco una telefonata inattesa, Amir capisce che e' giunto il momento di rimediare ai propri errori.

''Leggere il libro e' stata una esperienza bellissima ed emozionante - spiega Forster nelle sue note di regia - E' la storia della rottura di un circolo vizioso di violenza, ma nel suo complesso vi sono molti altri temi universali in cui tutti noi possiamo immedesimarci. Credo che una delle essenze del film e della storia sia il suo carattere di redenzione''.

Ad alimentare l'attesa per l'uscita de ''Il cacciatore di aquiloni'', oltre all'incredibile successo del romanzo, sono state anche alcune polemiche che ne hanno accompagnato il debutto in sala negli Usa: i due piccoli protagonisti, Zekiria Ebrahimi e Ahmad Khan Mahmoodzada, sono stati minacciati e costretti ad abbandonare l'Afghanistan insieme alle loro famiglie, mentre la severa censura afgana ha vietato la visione del film in patria, pena la morte. Divieto aggirato, nonostante il pericolo, attraverso la pirateria.


***

Vexata quaestio: arte e impegno civile, politico, sociale.

Vi è chi sostiene la tesi della reciproca indifferenza (reminiscenze liceali mi riportano alla mente Benedetto Croce che, nell'analisi della Divina Commedia, si ostinava a volere separare la "poesia" dalla "struttura"). Vi è chi è incapace di concepire lo sfogo artistico scisso dal contesto in cui nasce e di quel contesto fa ragione stessa della sua arte.

La censura è sempre un ottimo sintomo del malessere del potere davanti al seme vagante del bisogno di giustizia.

Perciò, paradossalmente, ben vengano gli interventi repressivi: significa che sono stati toccati nervi scoperti, e questo film, probabilmente, piuttosto che suturare, getterà alcool sulle ferite aperte di un popolo troppo poco abituato alla libertà.

Una volta tanto, viva la pirateria: al tempo delle persecuzioni romane i cristiani usavano simboli stilizzati disegnati nelle catacombe per testimoniare la propria fede, al tempo dell'unità d'Italia i carbonari scrivevano con l'inchiostro simpatico, al tempo del fascismo si usava la stampa clandestina. Le resistenze si assomigliano tutte, a quanto pare. Però mi metto nei panni di chi laggiù ha perso un genitore o un marito o un figlio, ed è triste pensare che non sia servito e non sia bastato a garantire che almeno i cinema restino zone franche dal potere.

Certo, anche il divertissement è cultura... ma, quando l'estetica sposa l'etica, l'uomo può dirsi vicino all'infinito.

E spero che "qualcuno" voglia accompagnarmi a vedere questo film...

lunedì 24 marzo 2008

Firma per i monaci


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Samten
Trulku Tenpa Rigsang
Gelek Pel
Lobsang
Lobsang Thukjey
Tsultrim Palden
Lobsher
Phurden
Thupdon
Lobsang Ngodup
Lodoe
Thupwang
Pema Garwang
Tsegyam
Soepa

Sembrerebbero una serie di lettere accostate senza criterio le une alle altre, una cacofonia senza senso apparente, sillabe sorteggiate dal caso a creare incomprensibili nodi alle lingue che provano a pronunciarli.
Questi sono nomi propri di persona, sono corpi torturati, mani che graffiano su pareti di prigioni da cui, forse, usciranno solo coi piedi avanti, sono menti a cui è stato castrato il pensiero, cuori senza la libertà di credere al dio che hanno scelto.
Questi quindici monaci tibetani sono stati arrestati dalla polizia cinese il dieci di marzo, mentre manifestavano pacificamente contro Pechino e l'aberrante campagna di rieducazione patriottica che mira a fare abiurare il Dalai Lama e rendere i tibetani perfetti cittadini cinesi devoti al regime.
Amnesty International si è attivata e ha promosso un appello: basta una firma online.
Aiutiamoli a resistere.

http://www.amnesty.it/appelli/azioni_urgenti/Tibet

Iraq, 4000 morti a stelle e strisce

Visita http://www.laresistenza.it/, sito ufficiale de LA RESISTENZA, band elettrofolk altosalentina di Enrico Cervellera ed Angelo Milone


Fonte: ANSA




NEW YORK - Con i quattro soldati uccisi ieri sera a Baghdad, il numero dei militari americani morti in Iraq ha raggiunto le 4 mila unità, pochi giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti George W. Bush aveva commemorato, il 19 marzo, i cinque anni dall'inizio del conflitto, affermandosi ancora una volta convinto che gli Usa stanno vincendo la partita. Bush aveva riconosciuto "gli elevati costi in termini di vite umane" delle operazioni in Iraq, dove però il bilancio - con una media di 800 morti l'anno - rimane decisamente più basso rispetto ai conflitti precedenti. Quelli americani in Iraq sono volentieri definiti morti invisibili o quasi, visto che le operazioni di rimpatrio delle salme avvengono quasi sempre con grandissima discrezione. Fino a pochi mesi or sono era addirittura proibito fotografare le salme avvolte nella bandiera a stelle e strisce all'interno degli aerei da trasporto militare, come i C130. Ora si può (i media l'hanno spuntata grazie al primo emendamento della costituzione Usa, quello sulla libertà di espressione) ma le foto rimangono molto rare alla base militare di Dover, nel Delaware, dove le salme continuano a giungere sul suolo americano dall'Iraq. E' vero che articoli sui militari morti in Iraq continuano a riempire la stampa americana. Ma si tratta soprattutto delle pagine locali dei grandi quotidiani e di quelle dei media regionali: ne parlano quando la vittima viveva (o era nata) nella città in questione. Decisamente molto più numerose di quelle militari americane sono le vittime civili irachene: spesso invisibili anchéesse, sono soprattutto morti dimenticati, visto che nessuno ne ha tenuto il macabro catalogo, e le stime oscillano tra 82mila e oltre un milione di vittime. Secondo le ultime cifre pubblicate i militari Usa morti quest'anno in Iraq sono 96. Sono molto meno rispetto agli anni precedenti, visto che su base annua, se la progressione rimane quella attuale, si sarà al di sotto delle 400 vittime. L'anno più letale è stato il 2007, con 901 morti tra i militari americani. Non era andata molto meglio nel 2004, nel 2005 e nel 2006. Le vittime Usa erano state rispettivamente 849, 846 e 822. E' molto elevato il numero dei feriti: ufficialmente appena meno di 30 mila, ma secondo alcune stime circa 100 mila: molti di loro sarebbero morti nei conflitti precedenti, e devono la vita ai progressi compiuti dalla medicina. Nelle precedenti guerre combattute dagli Stati Uniti, il numero delle vittime era stato decisamente superiore, come anche il coinvolgimento della popolazione, visto che attraverso la leva obbligatoria tutti o quasi avevano un familiare, un conoscente o un vicino di casa a combattere in Vietnam, a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Nella guerra di Corea, tra il 1950 e il 1953, le vittime Usa sono state 12.300 l'anno in media, in quella del Vietnam (1963-'75), una media di 4.850 l'anno. In base ai calcoli di Usa Today, il più diffuso quotidiano degli Stati Uniti, il 98% delle vittime sono uomini (contro il 99,9% in Vietnam), tre quarti dei quali bianchi non ispanici di una età media di 21 anni. In Vietnam la percentuale era del 86% e l'età media di 20 anni. Il 52% delle vittime è morto ucciso da una bomba, il 16% da un'arma da fuoco. Il giorno più letale è stato il 26 gennaio 2005, quando un elicottero si è schiantato al suolo, uccidendo 31 militari. Lo stesso giorno sei altri militari sono morti combattendo. Il mese più cruento è stato novembre 2004, con 147 vittime in tutto.

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