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sabato 19 luglio 2008

La mafia sedici anni dopo


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MAFIA: VEDOVA BORSELLINO A MINISTRI, NON DIMENTICATE PAOLO
Palermo, 19 lug. (Adnkronos) - "Non lo dimenticate Paolo". Cosi' Agnese Piraino Leto, vedova del giudice Paolo Borsellino, si e' rivolta al presidente del senato Renato Schifani, ai ministri Ignazio La Russa e Angelino Alfano, che sono arrivati sul luogo della strage di via D'Amelio a Palermo per ricordare le vittime della mafia. Schifani ha detto: "No signora, non lo dimenticheremo, ha cambiato le coscienze e soprattutto le ha fatte svegliare". E il ministro della Giustizia: "Non dimenticheremo ne' suo marito, ne' quelli che hanno fatto del male a lui, alla sua famiglia e a tutta la Sicilia". I rappresentanti delle istituzioni hanno quindi salutato la signora Leto che li ha ancora ringraziati per essere venuti a commemorare il giudice ucciso con i cinque agenti della scorsa.
***
Il 19 luglio di sedici anni fa ero al mare con la mia famiglia, avevo compiuto tredici anni da pochi giorni e piansi tutto il pomeriggio guardando in televisione le immagini della macchina sventrata dal tritolo.
Piansi di immedesimazione, come una figlia piange un padre scomparso improvvisamente in modo violento, come una madre si dispera per il figlio a cui è costretta a sopravvivere, come la compagna rassegnata di un uomo sovraesposto al pericolo. Fu un pianto umano, ed emotivo: non potevo sapere, allora, che avrei fatto della giustizia il mio pane quotidiano, che il diritto penale sarebbe diventato il fulcro della mia vita professionale, che il rispetto per gli ideali che ho assimilato per osmosi in famiglia e sui libri di diritto mi avrebbe portata a vivere con disappunto e qualche volta anche tristezza le complicazioni di un lavoro bellissimo ma troppo spesso contraddittorio.
Rivedere oggi le immagini dello scempio di via D'Amelio mi rammarica profondamente, ma ancora di più mi colpiscono le opinioni delle persone intervistate, in Sicilia e non, secondo le quali l'assenza di stragi e di omicidi di personalità particolarmente in vista sarebbe indice di una potente azione inibitoria da parte dello Stato e, di conseguenza, di una perdita di autorità delle organizzazioni mafiose.
Niente di più sbagliato. Quando la mafia tace, significa che lo Stato le ha dato, più o meno consapevolmente, più o meno volontariamente, l'assenso a istituzionalizzarsi: significa che da movimento eversivo è divenuta modo consueto di gestione della cosa pubblica, che il sopruso si è incardinato nelle istituzioni democratiche sino a burocratizzarsi, che il discrimine tra ciò che è bene e ciò che non lo è si è assottigliato sino a scomparire, che gli uomini d'onore, attraverso una sotterranea opera di corrosione morale, hanno instillato nella comunità territoriale cui fanno riferimento, l'idea che legalità e giustizia siano due categorie sorpassate della vita sociale e civile e che pretenderne l'attuazione faccia parte di una antiquata, quanto distorta, visione dei rapporti tra Stato e cittadini.
Il famoso "teorema Buscetta" (così fu soprannominato dal giudice Falcone l'impianto descrittivo e accusatorio che derivò dalla confessione di quello che è considerato il primo pentito di Cosa Nostra) diede, intorno alla metà degli anni Ottanta, la conferma di ciò che il pool dell'antimafia aveva già abbondantemente compreso: mano a mano che la connivenza delle istituzioni democratiche sarà più incisiva e che la già fittissima rete di relazioni funzionali con il mondo imprenditoriale si intensificherà sino a stringere le sue maglie in una morsa che strozzerà ogni altra forma alternativa di economia, la mafia crescerà e non avrà più nessun bisogno di ammazzare per emergere.
Sono passati sedici anni, sono cresciuta, e quello di oggi è un pianto di delusione non solo umana, ma anche professionale, politica e giuridica.
Perchè non serve a niente inasprire il 41-bis (articolo della legge penitenziaria che dispone particolari condizioni di severità - cosiddetto "carcere duro" - per i mafiosi più pericolosi) se poi la mafia è nelle aule di tribunale al di qua delle grate di protezione, nelle segrete degli uffici dei parlamentari, negli archivi delle amministrazioni pubbliche, nei bilanci truccati delle società "teste di legno" (termine atecnico con cui il mio professore di diritto commericale cercava di spiegarci il fenomeno dell'imprenditoria occulta e dei prestanome).
In tutti noi, ogni volta che non vediamo e non ci indignamo davanti al compromesso e alla violenza.
...
Marina

1 commento:

Flavio D. ha detto...

D'acordo, ma non del tutto...
Ho un pò di ottimismo in più, se penso a tutte le manifestazioni pubbliche contro la mafia ed il racket che fino a 10 anni fa erano frequentate da pochissimi speranzosi ed ora contano centinaia di partecipanti...
Forse la mafia qualche sconfitta l'avrà ricevuta?
Forse, culturamente e sostanzialmente, qualcosa sarà cambiato?

Apture

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