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giovedì 3 aprile 2008

Il tibet riapre, la Cina condanna


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Fonte: repubblica.it


PECHINO - L'attivista per i diritti umani Hu Jia, uno dei principali contestatori della politica cinese in Tibet, è stato condannato a tre anni e mezzo di carcere per istigazione a sovvertire i poteri dello Stato: questa la sentenza pronunciata dalla Prima Corte Intermedia di Pechino. Un verdetto che ha acceso le polemiche internazionali nei confronti della Repubblica Popolare, accusata di voler mettere a tacere i dissidenti in vista dei Giochi Olimpici dopo la brutale repressione nella regione himalayana. Intanto da Lhasa le autorità locali hanno annunciato che l'intero territorio del Tibet sarà riaperto ai turisti cinesi e stranieri a partire dal primo maggioLa regione himalayana era rimasta chiusa agli estranei, e di fatto isolata dal resto del mondo, in seguito ai disordini scoppiati il mese scorso. A differenza di quanto stabilito per le altre province della Cina, tuttavia, per il Tibet resta in vigore per chiunque l'obbligo di munirsi preventivamente di uno speciale permesso di accesso. Unione europea e Stati Uniti hanno chiesto la liberazione di Hu Jia. "Siamo costernati da questa condanna. In quest'anno olimpico ci appelliamo alla Cina perché colga l'occasione di presentare il miglior volto possibile e prenda delle misure per migliorare la situazione dei diritti dell'uomo", ha detto la portavoce dell'ambasciata Usa a Pechino, Susan Stevenson. Anche il portavoce dell'ambasciata dell'Unione europea ha chiesto di liberare il dissidente, ricordando che l'Ue "ha detto con chiarezza che in primo luogo Hu Jia non avrebbe dovuto essere arrestato e che avrebbe dovuto essere rilasciato immediatamente. Questa rimane la nostra posizione".


Il governo cinese ha replicato alle critiche negando di aver intrapreso un giro di vite contro i dissidenti per imbavagliare l'opposizione interna in vista delle Olimpiadi. "Non possiamo accettare certe accuse", ha ribattuto la portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica Popolare, Jiang Yu. "La Cina è un Paese dove vige lo stato di diritto. Non possiamo fermare l'applicazione della legge a causa dell'Olimpiade". Hu, 34 anni, era finito in prigione alla fine di dicembre dopo aver trascorso 200 giorni agli arresti domiciliari, misura cui sono ancora sottoposte sua moglie Zeng Jinyan, anche lei nel mirino delle autorità cinesi, e la loro figlioletta. Divenuto noto per le sue campagne a favore dei malati di Aids delle aree rurali, l'oppositore si è poi distinto per l'attivismo in difesa delle prerogative democratiche, della libertà di religione e dell'autodeterminazione per il popolo tibetano, ma le critiche al partito comunista gli sono costate care. In giudizio si era proclamato innocente, pur riconoscendo che alcune sue dichiarazioni potevano essere state "eccessive". In particolare a Hu sono stati contestati una serie di articoli di denuncia contro gli abusi del regime, pubblicati "dentro e fuori la Cina", anche via Internet; e il fatto di aver avuto contatti con giornalisti stranieri interessati alle sue attività. La condanna del militante cinese pro-tibetano segue di appena un paio di settimane quella a cinque anni di reclusione inflitta a un altro noto oppositore, il 52enne Yang Chunlin, un ex contadino finito in carcere per accuse analoghe a quelle mosse a Hu. Nel suo caso, le autorità hanno punito la raccolta di oltre diecimila firme in calce a una petizione intitolata "Vogliamo i diritti umani, non l'Olimpiade". (3 aprile 2008)

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