La Resistenza si augura che Raffaele accetti l'invito a collaborare con lei... domani, chissà... Per ora gustiamoci questo intervento.
Si chiama jazz, ragazzi, e te lo tieni dove vuoi. Nei piedi, nelle mani, tra le labbra, ma soprattutto te lo tieni nella testa. E sì, nella testa. Lucida ragazzi, mi raccomando. Perché il miglior sballo è averla lucida e lasciarsi andare all’adrenalina.
Provate ad immaginare un locale, metteteci un po’ di gente al bancone che consuma, altri ai tavoli, chiacchiericcio tutt’attorno. Anche quello può essere jazz. Ma lo è ancora di più un palco seminascosto dal buio e dalla disattenzione generale. Si parla jazz. Il ritmo incalza. La gente aumenta i toni. I semitoni arrancano. Questione di talento. Le ragazze hanno gusti strani, ma sono loro a cantare. I ragazzi arrancano. E quando la notte potrebbe finire arrivano loro, i jazzers. Un buon catalogo umano: neri e bianchi, alti e magri, ma tutti, dico proprio tutti, con la musica sotto il culo pronta ad esplodere. Il cono di luce li sfiora e loro iniziano a suonare. Gente, è jazz! Sono curvi sulle otri musicali, come contadini a pregare la terra di dargli da campare finché morte non se li prenda. Al diavolo! Finché si è vivi dacci da suonare il nostro pane quotidiano.
Sono storie di disperazione. Certo. Di dolore. Certo. Ma sono storie di gran bellezza. Cazzo. E mentre queste parole procedono pensate ad un sottofondo di musica jazz. Pensate al mondo ed al culo tondo della luna. Pensate che ogni musica è una storia. Ogni storia è un uomo. Ogni uomo esiste finché la sua storia verrà raccontata. Vanno conservate le storie. Le storie sono uomini. E vanno lucidate, come i sax.
Ed è per questo che son qui, per lucidare “natura morta con custodia di sax” di Geoff Dyer (ed. instar libri), un appassionato omaggio ai grandi del jazz.
Aprite il sipario e vi troverete Red Allen, Ben Webster, Pee Wee Russell, Chet Baker, Lester Young, Theolonius Monk, Bud Powell, Charlie Mingus, Art Pepper, ognuno con una storia da raccontare.
Ogni racconto è un’improvvisazione musicale. È immaginare leggenda che si salva con la musica, che rimanda il suo requiem.
Si chiama jazz, ragazzi, e te lo tieni dove vuoi. Nei piedi, nelle mani, tra le labbra, ma soprattutto te lo tieni nella testa. E sì, nella testa. Lucida ragazzi, mi raccomando. Perché il miglior sballo è averla lucida e lasciarsi andare all’adrenalina.
Provate ad immaginare un locale, metteteci un po’ di gente al bancone che consuma, altri ai tavoli, chiacchiericcio tutt’attorno. Anche quello può essere jazz. Ma lo è ancora di più un palco seminascosto dal buio e dalla disattenzione generale. Si parla jazz. Il ritmo incalza. La gente aumenta i toni. I semitoni arrancano. Questione di talento. Le ragazze hanno gusti strani, ma sono loro a cantare. I ragazzi arrancano. E quando la notte potrebbe finire arrivano loro, i jazzers. Un buon catalogo umano: neri e bianchi, alti e magri, ma tutti, dico proprio tutti, con la musica sotto il culo pronta ad esplodere. Il cono di luce li sfiora e loro iniziano a suonare. Gente, è jazz! Sono curvi sulle otri musicali, come contadini a pregare la terra di dargli da campare finché morte non se li prenda. Al diavolo! Finché si è vivi dacci da suonare il nostro pane quotidiano.
Sono storie di disperazione. Certo. Di dolore. Certo. Ma sono storie di gran bellezza. Cazzo. E mentre queste parole procedono pensate ad un sottofondo di musica jazz. Pensate al mondo ed al culo tondo della luna. Pensate che ogni musica è una storia. Ogni storia è un uomo. Ogni uomo esiste finché la sua storia verrà raccontata. Vanno conservate le storie. Le storie sono uomini. E vanno lucidate, come i sax.
Ed è per questo che son qui, per lucidare “natura morta con custodia di sax” di Geoff Dyer (ed. instar libri), un appassionato omaggio ai grandi del jazz.
Aprite il sipario e vi troverete Red Allen, Ben Webster, Pee Wee Russell, Chet Baker, Lester Young, Theolonius Monk, Bud Powell, Charlie Mingus, Art Pepper, ognuno con una storia da raccontare.
Ogni racconto è un’improvvisazione musicale. È immaginare leggenda che si salva con la musica, che rimanda il suo requiem.
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