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martedì 22 aprile 2008

Di un delitto (grave) e di una pena (vergognosa) ...

Fonte: http://www.corriere.it/

WASHINGTON - L'acqua che scende dall'alto è limpida. Un fiotto compatto. Inesorabile. Entra nella gola, stimola la faringe e il prigioniero ha la netta sensazione di annegare. A questo punto, non gli resta che implorare pietà. «Il terrore di morire - spiegano gli esperti - porta quasi immediatamente a chiedere che il trattamento abbia termine». Si chiama «waterboarding» (o annegamento simulato) ed è una delle tecniche più dure utilizzate negli interrogatori contro i presunti terroristi di Al Qaeda. Adesso, «quello che la Cia non vuol far vedere», è sul web: un video choc realizzato da Amnesty International che racconta in pochi secondi quello che accade in certe prigioni americane.
- Nei giorni scorsi George W. Bush ha ammesso di essere a conoscenza dell'utilizzo di queste pratiche. «Lo abbiamo fatto per proteggere il popolo americano» ha spiegato il presidente Usa. Ma le sue affermazioni hanno provocato una serie di reazioni e di polemiche. Tra queste, la dura presa di posizione di Amnesty. Per sensibilizzare l'opinione pubblica, e soprattutto l'amministrazione Usa, l'organizzazione internazionale ha pubblicato su Internet una serie di video nell'ambito della campagna «Unsubscribe-me» contro le violazioni dei diritti umani nella «guerra al terrore». L'ultimo è quello sul «waterboarding». «La minaccia del terrorismo è reale - si legge sul sito Internet dell'iniziativa - ma calpestare i diritti umani e abbandonare i nostri valori non è la risposta giusta».
- Malcom Nance, che a lungo ha insegnato agli uomini della sicurezza americana a resistere agli interrogatori in cui veniva usato il «waterboarding», chiede la fine immediata di questa pratica. «Mi vergogno per il fatto che il presidente Bush abbia autorizzato il suo uso e abbia così gettato nel fango la reputazione degli Stati Uniti», ha dichiarato. Il presidente statunitense è stato molto criticato anche per aver respinto una proposta parlamentare finalizzata a mettere fuori legge questo tipo di interrogatorio. «Il nostro film mostra ciò che la Cia non vuol far vedere - spiega Kate Allen, direttrice di Amnesty International in Gran Bretagna - vale a dire la disgustosa realtà degli annegamenti simulati».

***

Quando, qualche tempo fa, scrissi su questo blog della vergogna di Bolzaneto durante il G8 di Genova, usai l'espressione "metodi di interrogatorio mutuati da Guantanamo". Ora non so se il video degli attivisti di Amnesty International sia stato effettivamente girato lì (perchè mi sono rifiutata di vederlo), ma parlando di sprezzo umano, prima ancora che guridico, della persona, era certamente questo che intendevo.
La mia riflessione, però, oggi, si spinge molto al di là del caso concreto: ha una visione più angolata, un respiro più ampio. Perchè io, fortunatamente, posso, ancora, respirare: nessuno, ancora, mi ha stesa su un lettino ad ingoiare acqua nel tentativo di indurmi a confessare. E per me respirare significa pensare senza il laccio della politica ad imbrigliarmi la mente, senza il condizionamento emotivo (assolutamente legittimo, ma pessimo consigliere quando si tratta di questioni internazionali così complicate) di un aereo che si infila in una torre e la rende fuoco e macerie.
Ebbene, quello che mi domando, da studiosa della legge e amante del diritto, da cittadina, da donna libera che crede che prima dello Stato vengano i cittadini (quanti danni, eh, che compie la Costituzione, in chi ne ha fatto una norma di vita...), quello che mi domando, dicevo, è quale sia, e dove si collochi, il discrimine tra la tutela della persona da un lato e la salvaguardia della sicurezza nazionale e dell'ordine pubblico dall'altro. Certo, l'interesse superiore della nazione, la vilta di un'arma, il terrorismo, che, per definizione, non consente uno scontro paritario, ma obbliga a cercare altri mezzi di indagine e di lotta, hanno, negli ultimi tempi, indotto persino i più scatenati garantisti a rivedere sensibilmente le loro posizioni. E sicuramente, in questa corrente di "revisionismo penitenziario" (neologismo di nuovo conio personale, prendetelo con le dovute cautele!) rientro, mio malgrado, anche io.
Ma tutto questo può valere a giustificare ed avallare simili oscenità?
O non esiste, piuttosto, una sorta di porto franco, per la dignità umana, nel quale essa goda di una guarentigia inviolabile persino nei confronti del più efferato delitto contro la personalità dello Stato?
Esistono risposte che non possono darsi o che non vogliono cercarsi, per il timore che non siano ideali come le si è immaginate a diciotto anni e studiate sulle sudate carte universitarie. Ma è doveroso continuare a domandarsi sempre: resistere è denunciare.

Marina

P.S. : Il fatto che il post non abbia foto non è un caso, ma una precisa scelta consapevole: alcuni scandali devono essere documentati per essere credibili. Questo, purtroppo, non ne ha bisogno.
E' il mio modo di protestare: se riuscite, se volete, rispettatelo.

P. P. S. : Un bacio a tutti, resistenti: è bello tornare a trovarvi.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Resistere vuol dire denunciare? Beh, allora sono un'ultra resistente. Mi chiamo Lina e denuncio persone con una media di 2 al mese! Mi costituisco spesso parte civile in processi contro mascalzoni e lestofanti di diversa natura e provenienza! Spesso intasco, qualche volta ci rimetto. Bello cmq sto blog, avanti tutta.

Flavio D. ha detto...

Sono in linea generale d'accordo con Marina... ma ho sempre qualche contrasto "interiore" quando penso a determinati metodi applicati ad un certo tipo di criminali.
Se è quanto meno deplorevole l'idea di "torturare" nel modo descritto i presunti terroristi di Al Qaeda, però è anche vero che forse solo di fronte al terrore di morire certi uomini, dalla cultura bacata a causa di fanatismo e ignoranza, si lasciano andare a confessioni. E proprio grazie a tali confessioni è stato possibile negi ultimi anni continuare a portare avanti la lotta al terrorismo con significativi successi.
Spero di non essere frainteso e di non destare antipatia... non difendo gli americani nè gli interrogatori-tortura, ma credo che in alcuni casi il fine possa giustificare i mezzi.
Un abbraccio a tutti i resitenti.

Apture

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